Intervista a Gianandrea Perco




“Economia reale e debiti bassi l’era della finanza facile è finita”

Affari & Finanza, 28 Novembre 2022
Gianandrea Perco, Amministratore Delegato e Direttore Generale - DeA Capital Alternative Funds Sgr - Gruppo De Agostini
Gianandrea Perco, Amministratore Delegato

“Per le aziende, mantenere il focus sull’efficienza e tenere bassa la leva, evitando l’errore della finanza facile, mai davvero superata. Questa ricetta impronta tutte le nostre attività di investitori: dalla gestione dei crediti di Irf (che ha ridotto la Gacs pubblica da 3,5 a 1,3 miliardi) al fondo ristrutturazioni lanciato con Cdp, dal fondo Agro agli altri investimenti illiquidi.”


La ricetta del maggior gestore “alternativo” in Italia: “L’inflazione renderà tutto più difficile per i prossimi due anni. Ma ci saranno anche opportunità per ripartire, riservate ad aziende con modello solido e leva contenuta” Parla il più grande gestore “alternativo” in Italia.

Riassetti aziendali, attivi illiquidi, crediti deteriorati, tutti ambiti reduci da crescite vistose di rendimenti, flussi distribuiti, masse.

Fino a 5,8 miliardi quelle della Sgr DeA Capital Alternative Funds, che dal 2017 Gianandrea Perco guida. Il 2022, però, è un anno di resistenza causa guerra, inflazione e crisi di crescita. Tuttavia i prossimi due anni daranno grandi opportunità per ripartire: «Ma solo ad aziende con modello solido e una leva debitoria bassa, e a investitori capaci di puntare sull’economia reale». Si torna sulla terra – letteralmente: uno dei fondi di DeA è Agro, 110 milioni per investimenti fondiari, «naturalmente indicizzati all’inflazione» – e in un mondo in cui gli interessi mordono.


È davvero un anno di cesura il 2022?

«Mercati, investitori e aziende passano da una situazione in cui 12 mesi fa erano ottimisti e vedevano segni incoraggianti, dopo la ripresa post Covid, e le robuste criticità attuali: senza peraltro avere indirizzato i difetti passati. Per la prima volta dal 2008, infatti, sono arrivate le forti politiche restrittive delle banche centrali: tutta la liquidità immessa dal 2010 è servita, soprattutto, a sostenere la crescita, specie dei consumi. Solo una minima parte è servita a ristrutturare le aziende, con investimenti in R&S. Oggi, e più nel 2023 e 2024, vedremo l’impatto di tali comportamenti sull’economia».

Brutta aria per tutti?

«In una strana coincidenza, la gente e le imprese nei due anni passati hanno guadagnato ma speso e consumato relativamente poco, e ora possono usare parte della liquidità residua per far fronte all’inflazione. Ma i prezzi esplosi nel secondo e terzo trimestre, malgrado il rallentamento del quarto, saranno a lungo critici».

Qual è la vostra ricetta?

«Per le aziende, mantenere il focus sull’efficienza e tenere bassa la leva, evitando l’errore della finanza facile, mai davvero superata. Questa ricetta impronta tutte le nostre attività di investitori: dalla gestione dei crediti di Irf (che ha ridotto la Gacs pubblica da 3,5 a 1,3 miliardi) al fondo ristrutturazioni lanciato con Cdp, dal fondo Agro agli altri investimenti illiquidi».

Quando un debito è troppo alto?

«Indicativamente quando è oltre 4-5 volte il margine operativo lordo. A tassi bassi ciò può anche non dare problemi.

Ma ai tassi attuali, e futuri, si crea una distorsione strutturale in cui un’azienda lavora solo per pagare gli oneri, e creare i presupposti per rifinanziare i debiti. Con il rischio di finire sotto pressione, oltre ad altri rischi più immediati, come l’impossibilità di investire in R&S e competitività, e la poca flessibilità commerciale, perché chi ha debiti alti deve fatturare anche quando la crescita dei prezzi produttivi azzera i margini».

Quali sono i settori più in difficoltà?

«È più un fatto di dimensioni che di settori. Mai come ora serve massa critica, per garantire i necessari investimenti in R&S. In Italia, a parte l’energia e il sistema finanziario, quasi tutti i settori industriali e agroalimentari hanno dimensioni medie ridotte, e necessitano di consolidamento. Se non ci sarà, settori d’eccellenza come macchinari, logistica, industria del freddo, perderanno competitività e saranno facile preda di investitori. A partire dalle aziende più piccole».


Avete lanciato Flexible capital fund, fino a 300 milioni per imprese italiane in squilibrio finanziario ma prospettive adeguate di redditività. Partner al 49% sarà il Patrimonio rilancio di Cdp.

Il fondo leverà le castagne dal fuoco a una Cdp piena di impegni?

«Si tratta di una virtuosa collaborazione pubblico-privato. La visione positiva che ha avuto Cdp è stata unire risorse pubbliche e il network privato al servizio di un’industria, quella della ristrutturazione d’impresa che in Italia è nata ma non ha dimensioni adeguate. Il fondo guarderà alle circa 1.500 aziende con ricavi oltre i 50 milioni e una leva di oltre 4 volte il Mol. Sarà, anche, uno strumento molto efficace per dare nuova finanza alle aziende che hanno beneficiato delle garanzie di Sace e Mcc sui crediti, ma a cui oggi serve capitale.

Ci sono grandi potenzialità: e noi siamo solo i primi a partire, credo che entro mesi nasceranno fondi simili in Italia».

Dopo il riassetto debitorio come si devono condurre queste aziende?

«Ridurre la leva è solo la prima cosa, spesso la più facile. Il nostro ruolo tocca soprattutto la governance, con la scelta del management più adatto, e alle future strategie. Tenendo sempre presente che lavorare con disciplina sui crediti, senza la fretta di venderli sul secondario a prezzi bassi, è la tecnica migliore per massimizzarne il recupero, e ridurre gli esborsi futuri dello Stato garante».

Siete forti investitori negli “illiquidi” che dopo anni rosei nel primo semestre 2022 hanno raccolto il 40% meno dell’anno prima. Che succede?

«Gli illiquidi, che negli Usa ormai pesano fino al 25% dei portafogli istituzionali più grandi, richiedono impegni sempre più importanti per le nuove chiamate di capitale. In più, il calo dei mercati ha reso illiquido altro attivo, di fatto oggi non smobilizzabile per fare cassa per i nuovi investimenti. Una crisi di crescita, ma che riserva grandi chance a chi non è molto esposto. Lo scenario 2023 sarà più chiaro, e i multipli più ragionevoli».

Quali ambiti preferite?

«Tutte le tematiche collegate Esg, dove però la prima forma di sostenibilità è quella economica. Poi il mid cap italiano, da anni vincente sui fondi globali, ma che ha ancora grandi spazi, e le pmi in Spagna, dove siamo attivi e soddisfatti.

Poi l’agricoltura, anche di precisione, entro filiere ben valorizzate, e le citate ristrutturazioni aziendali».