L’Horeca fa gola alla finanza – La resilienza del comparto attira investitori




Il Private Equity guarda al cibo del futuro

Food Service, 20 ottobre 2021

Dopo le operazioni condotte nel 2020-21, i principali fondi hanno rivolto le loro attenzioni su alcuni temi di grande attualità:
nutraceutica, alternative alla carne, packaging sostenibile, ingredienti innovativi.
Le aziende inserite in questi ambiti saranno quasi certamente le loro prossime “prede”


La liquidità c’è e va investita in progetti imprenditoriali destinati a crescere. Il food&beverage è uno di questi. Di conseguenza, da parte degli investitori, è stato acceso il faro sul comparto in tutte le sue declinazioni. E se nel 2020 il focus delle operazioni riguardava i win-win della pandemia, a cominciare dall’e-commerce e dal delivery, con il ritorno auspicato alla nuova normalità riprendono quota anche le attività legate alla ristorazione “in presenza”, che in questo momento offre notevoli opportunità di riscatto. Anche se, dalle testimonianze di alcune tra le principali società di gestione del risparmio (Sgr), l’ambito più interessante sembra essere quello dei cibi salutari, dalle alternative alla carne fino alla nutraceutica.

La spinta dell’export

Chi investe nel food? I profili sono diversi. Il primo è quello legato ai fondi di private equity, caratterizzati da un orizzonte contenuto prima della vendita al successivo offerente: comprano, fanno crescere e poi vendono. Il secondo è quello dei gruppi industriali, che rilevano attività sinergiche per rafforzare le proprie posizioni in mercati specifici (con un focus sempre più marcato per quelli anglosassoni) o per espandere il raggio di azione in attività complementari o propedeutiche al core business. Senza dimenticare poi il peso dell’investimento pubblico, a sostegno di realtà italiane del cibo che necessitano di risorse per intercettare la crescita. Quest’ultimo caso ha visto come protagonista, in Italia, Cdp-Cassa Depositi e Prestiti, che nel biennio 2019-20 ha messo sul piatto ben 680 milioni di euro per supportare quasi tremila aziende del food nazionale: tra queste Molino Casillo, Consorzio Casalasco, Fileni Alimentare, Latteria Soresina, Gruppo Italiano Vini, Andriani. A vantaggio del food ci sono i dati del comparto agroalimentare, che nel 2020 – anno tragico per la maggior parte dei settori industriali italiani – è riuscito a ottenere una crescita dell’export, con 46,1 miliardi di ricavi, il massimo risultato storico. E nel 2021, grazie alle riaperture del canale Horeca e al cosiddetto revenge spending, potrebbe andare anche meglio. Al tempo stesso, sono stati i risultati raccolti dai primi investitori che hanno creduto al food a trainare i nuovi potenziali player. A cominciare dai fondi di private equity.

Taste of Italy tra Italia e Spagna

L’ingredientistica presenta importanti opportunità, con particolare riferimento alla necessità di sostituire prodotti quali aromi e coloranti
di sintesi chimica con prodotti di origine vegetale e ottenuti con metodologie green”.

Pierluca Antolini
Managing Director DeA Capital Alternative Funds Sgr

Spicca, a tale proposito, l’esempio di Taste of Italy, il primo fondo dedicato al food & beverage, protagonista in passato di operazioni più che soddisfacenti e già giunte all’exit come ad esempio La Piadineria (comprata da Permira), Lurisia (oggi confluita in Coca Cola) e Casa Vinicola Botter (rilevata da Clessidra).

“Le ragioni della nostra specializzazione – afferma Pierluca Antolini, Managing Director di DeA Capital Alternative Funds Sgr, la società che ha lanciato il fondo – risiedono nelle caratteristiche proprie del food & beverage, che rappresenta un’eccellenza italiana: peso rilevante sul Pil nazionale, forte esposizione internazionale, numerosità di Pmi, possibilità di consolidamento dovuta alla frammentazione del settore, alla proprietà prevalentemente familiare e alla necessità di managerializzazione delle imprese”.

Il successo del primo fondo ha condotto poi al lancio e alla definizione di seguito, di dimensioni maggiori rispetto al primo (330 milioni contro i 218 di Taste of Italy 1) e con una estensione geografica ad un altro Paese, la Spagna, dove è stata costituita una sede e creato un team locale dedicato di alta professionalità.

“La positiva esperienza di Taste of Italy è stata poi seguita anche da altri fondi di private equity che, pur non focalizzandosi esclusivamente sul F&B, hanno incrementato in misura significativa la quota di portafoglio nel settore”, puntualizza Antolini. Il bacino di interesse di Taste of Italy (1 e 2) non si limita ai prodotti alimentari, perché sotto la lente degli analisti del fondo si trovano anche le aziende leader del packaging, dei macchinari per la produzione alimentare, della distribuzione e della logistica. “Questo comparto – aggiunge il managing director – è composto da segmenti tra loro molto differenti per caratteristiche industriali e commerciali, dinamiche di crescita e fattori di rischio. E nella nostra esperienza di investitori abbiamo affrontato tematiche molto diverse tra loro: basti pensare ai driver di crescita del food retail, incentrate sulla standardizzazione del formato e del prodotto e sulla ingegnerizzazione dei processi, come nel caso di Alice Pizza (in portafoglio dal 2019, con il 70% del capitale controllato, ndr), e all’opposto alle strategie di rafforzamento industriale e sviluppo tecnologico, basate sulla informatizzazione e modernizzazione delle linee di produzione, sull’adozione dei criteri di lean production e di intelligenza artificiale, come nel caso di Gelato d’Italia (acquisito per il 70% nel 2016). In questo ambito così variegato, le opportunità di crescita sono molte e molto interessanti e si collegano anche all’esigenza sempre più sentita di sostenibilità e riduzione dell’impatto ambientale con il necessario corollario di tracciabilità dei prodotti e di certificazione dei processi produttivi”.

E Antolini ritiene che le Pmi italiane e per certi versi anche quelle spagnole siano generalmente molto sensibili a questi temi:

“Hanno realizzato investimenti e adottato procedure molto stringenti che le pongono all’avanguardia in questo campo riuscendo in molti casi a coniugare la qualità dei prodotti con le esigenze di sicurezza alimentare e di riduzione di emissioni nell’ambiente”.


I prossimi sviluppi: nutraceutica e vino

Guardando al futuro, i target più rilevanti per Taste of Italy potrebbero essere quelli del packaging, della nutraceutica, dell’ingredientistica, dei macchinari alimentari e del vino. E Antolini ci spiega come.

“Per quanto riguarda il packaging, si pensi alla necessità di ridurre e sostituire gli imballi in materiale plastico con prodotti interamente biodegradabili o a base di carta e cartone con particolari caratteristiche termiche e di protezione degli alimenti. La nutraceutica, strettamente legata al concetto di prevenzione della salute, si sta affermando come uno strumento essenziale per il benessere e i suoi prodotti, a differenza dei farmaci il cui utilizzo è legato a patologie, sempre più rappresentano un fattore entrato nella vita quotidiana delle persone. Anche l’ingredientistica presenta importanti opportunità, con particolare riferimento alla necessità di sostituire prodotti quali aromi e coloranti di sintesi chimica con prodotti di origine vegetale e ottenuti con metodologie green”.

L’ambito dei macchinari alimentari e per l’agricoltura rappresenta un’eccellenza italiana e sta attraversando un interessante processo di consolidamento, con la creazione di alcuni leader a livello nazionale con una significativa presenza sui mercati internazionali, come anche il settore del vino, che ha visto di recente l’ingresso di importanti fondi di private equity, che hanno favorito e accelerato il percorso di aggregazione in atto, necessario per affrontare in modo adeguato i mercati internazionali.

“Restano poi altre aree di interesse, come la digitalizzazione nel food retail o il vertical farming, che presentano rilevanti opportunità ma anche fattori di rischio elevati, legati alla individuazione e definizione di uno standard che consenta equilibrio economico e finanziario” conclude Antolini.